Marcantonio Lunardi | Anthropo(m)etry
di Alessandra Ioalé
Antropometria della spersonalizzazione
Prima come documentarista poi come video artista, Marcantonio Lunardi si è contraddistinto sin dagli esordi per un linguaggio che coniuga quello del documentario con quello della sperimentazione videografica dando origine nel tempo ad un raffinato codice stilistico caratterizzato da una infinita serie di immagini narrative ricche di simbolismi, in cui ogni dettaglio è curato e ricercato senza lasciare niente alla casualità. Messe in scena dall’estetica lucida e fredda quasi patinata nelle quali si traduce la sensibilità sia di uomo impegnato politicamente, che di artista critico del suo tempo. Una sensibilità che ha sempre portato Lunardi, definito il “militante poetico della videoarte italiana”, a sondare gli insidiosi meccanismi di potere che si celano dietro l’uso dei mezzi di comunicazione di massa nella società contemporanea italiana e analizzare le ripercussioni delle nuove tecnologie sulla vita sociale degli individui che ne hanno violato la quotidianità. Tematiche importanti che svelano la preoccupazione dell’artista di fronte alla situazione italiana in cui vive. Una preoccupazione che lo conduce oggi ad estendere la sua visione ed analizzare l’odierna situazione globale, generalizzata e socialmente accettata del sistema di burocratizzazione dell’individuo, e la dinamica psicologica che vi sottende, nel progetto trasversale Anthropometry, sperimentando con la sua poetica orizzonti disciplinari nuovi.
Tanti e diversi sono stati i regimi che hanno tentato di operare un’organizzazione sociale secondo precisi modelli basati sul discrimine della razza, della salute fisica, dell’appartenenza politica e/o religiosa, cercando nella scienza un fondamento teorico alla loro malsana ideologia che giustifichi le diverse pratiche di pulizia etnica che sono state applicate. L’antropometria è una di queste scienze. Oltre ad occuparsi infatti di misurare il corpo umano nella sua totalità a supporto dell’antropologia, è stata anche usata per la differenziazione pseudoscientifica delle razze umane, spesso al fine di dimostrare la presunta superiorità di alcune classi di individui rispetto ad altre e supportare le pratiche eugenetiche naziste verso quegli individui la cui vita era ritenuta “di nessun valore” e a cui sarebbe stato impedito di riprodursi attraverso la sterilizzazione coatta o l’uccisione. Nella storia recente il processo di privazione forzata delle qualità e delle caratteristiche distintive di una persona, al fine di eliminarne, distruggerne e piegarne la coscienza e rendere moralmente praticabile ai loro aguzzini l’esercizio della coercizione, della violenza e dell’omicidio, è stato applicato numerose volte sotto i regimi totalitari trasformando la cattura, la tortura e l’uccisione dei prigionieri in semplici procedure burocratiche. Un passaggio indispensabile nel processo di spersonalizzazione è la riduzione dell’uomo in numero per poterlo così ridefinire nei suoi compiti sociali e nella sua essenza. Una volta giunti al risultato lo si può archiviare, catalogare, organizzare come se non fosse più un uomo ma semplicemente una funzione. Non vi è più sofferenza nell’uomo numerizzato, in quanto l’annullamento dell’uomo tramite la sua trasformazione in numeri implica la libertà da quei vincoli etici che regolano il comportamento sociale. Perché i numeri non soffrono e non si possono uccidere.
Come non ricordare quindi la brutale quanto razionale, precisa e metodologicamente unica catalogazione della vita che ogni singolo prigioniero doveva subire appena entrava nei campi di sterminio, per cui ad ognuno veniva assegnato e tatuato un numero sequenziale di riconoscimento; fino ad arrivare alla società odierna in cui i numeri, i codici e le password fanno comunemente parte della nostra vita, non servono ad altro che controllare gli accessi ai servizi essenziali, all’assistenza sociale, al diritto di voto, al denaro; possiamo affermare che di fatto oggi come allora la nostra intera esistenza è inserita, ordinata e catalogata invece che in cartelle cartacee in altrettanti file raccolti in memorie di massa digitali. Realtà informatiche immense e immateriali che non permettono di capire appieno quanto e come la burocrazia, in ogni tempo, possa diventare uno strumento di potere e di violenza se usato in termini coercitivi e di controllo.
Come il processo di spersonalizzazione anche quello di digitalizzazione comporta una perdita, una privazione di informazioni, di alcune caratteristiche in favore di una semplicità di rappresentazione. Ogni sistema informatico è progettato per agevolare l’organizzazione e l’accesso ai dati in esso immessi, ma cosa succede quando si presentano quegli stessi dati nella realtà del loro formato digitale? Lunardi svela il meccanismo subdolo di alienazione e distacco innescato dalla lettura delle matrici informatiche qual’ora se ne tenti una comprensione, senza sapere che forse quella struttura di zero e uno rappresenta in realtà un individuo. Un percorso verso la scoperta di alcune identità umane, reali, nascoste nelle trame della loro matrice numerica, attraverso opere con cui Lunardi esplora le possibilità narrative ed espressive dell’immagine elettronica, fotografica, e del libro d’artista, nelle cui pagine intesse un nuovo dialogo con l’immateriale digitale mettendo sul bianco cartaceo il nero dei bit che costituiscono il codice binario di poemi di vite digitalizzate da un sistema informatico che ne cataloga l’esistenza. Soltanto all’interno del sito Anthropometry, un database che funziona come un “traduttore”, tutti i bit del puzzle troveranno il loro naturale ordine svelando le reali identità celate nei libri.
Si pone in evidenza così la reale freddezza dei metodi di burocratizzazione con cui il sistema tenta di sintetizzare le caratteristiche estrinseche di un individuo tralasciando quelle intrinseche di più grande valore sociale e culturale. A completare questa antropometria della spersonalizzazione è poi il trasferimento del flusso numerico continuo dall’immacolata pagina bianca del libro alla dimensione installativa permanente e attraversabile, e la collocazione di opere di realtà aumentata nello spazio urbano e pubblico di due luoghi cardine per l’artista, il primo quello del Polo Tecnologico di Lucca, dove si è sviluppato e ha trovato concretezza tutto il progetto; il secondo quello di Piazza San Francesco di Lucca, dove l’opera può dialogare con quelle che sono le istituzioni culturali che vi si affacciano: la Facoltà di Economia e il Lu.C.C.A., centro d’arte contemporanea tra i più in fermento del panorama odierno toscano.
Pertanto partendo dal rifermento storico della shoah, Anthropometry è un progetto complesso proprio per il suo attraversare diverse discipline artistiche, anche lontane fra loro, con cui Lunardi riflettere sulle diverse forme di spersonalizzazione degli individui usate nel contesto dei vari regimi fino all’uso oggi socialmente accettabile praticato in determinati ambiti economici e commerciali contemporanei, mettendo in luce quelli che sono gli effetti della burocratizzazione della persona e approfondendo l’uso dei mezzi che gestiscono la nostra quotidianità, in quanto il nostro concetto di libertà non può prescindere dai mezzi utilizzati per la sua attuazione e dalle contraddizioni che essi producono influenzando non poco la configurazione antropologica del XXI secolo.